Ci sono delle convinzioni che immancabilmente crollano di fronte alla realtà. Prendiamo me, per esempio, ho buona convinzione di essere una persona con un discreto equilibrio, una decente elasticità mentale, aggiunta ad una buona obiettività. Insomma tutto il contrario del profilo tipico di un fondamentalista. Però poi capita d’imbattermi in questioni che proprio non riesco ad ignorare e di fronte alle quali voltare lo sguardo equivarrebbe a sentirmi in qualche modo correa.
É il caso del nuovo libro di Allan Bay che tra l’altro è stato presentato in pompa magna proprio in questi giorni anche qua a Genova. Ho approfittato di un giro in libreria, chè oramai conosco i miei polli, ho aperto il libro, 788 pagine di libro per un totale di 1135 ricette per la precisione, e sono andata direttamente all’indice. Sapevo già cosa cercare, una specie di prova del nove, la conferma di tutti i sospetti accumulati dall’uscita del precedente “77 ricette perfette“. Trovato quel che cercavo, sono andata alla pagina incriminata.
La ricetta riportata (e su cui concentrerò il mio discorso) partiva ambiguamente già dal titolo: “pesto“. E per quello che posso saperne io, potrebbe essere una manovra per aggirare in qualche modo le regole, un po’ sulle orme della Neslé, per capirci. L’autore si giustifica asserendo che il pesto è il pesto quindi è inutile aggiungere che è genovese, perché si sa che il pesto è genovese. Mah.
Leggendo bene la ricetta mi sono immediatamente resa conto ch’era un banale copiaincolla, con qualche taglio, proprio da quel famoso 77 ricette perfette che già mi aveva fatto infuriare perciò copio incollo anche io la ricetta del pesto tratta da questo libro, giusto per farvi rendere conto:
“[…] Prendi per 4 persone, 50 foglie di basilico, puliscile con uno straccetto inumidito, mai lavarlo!, mettile nel mortaio e aggiungi 2 o più spicchi di aglio, anche 5 se vuoi, mondati dalla pellicina e, se se ce l’hanno privati dell’anima, cioè del budellino verde. Per ultimo unisci 1 pizzico di sale grosso. Comincia a schiacciare con il pestello con un movimento rotatorio, schiacciando quindi sulle pareti del mortaio, non pestando dall’alto in basso. Continua a lavorare con il pestello fino a quando avrai ridotto il tutto a poltiglia, ma tu, amica mia, hai il braccio della massaia, quindi non sarà un problema. In una padellina antiaderente tosta a fuoco dolcissimo 1 manciatina di pinoli, per permettere loro di sprigionare tutto il loro profumo, ma facendo in modo che non brucino. E senza l’aggiunta di alcun condimento. Poi mettili nel mortaio e continua a mestare. Quando la poltiglia sarà una vera e propria poltigliosa poltiglia, unisci circa 2 dl di olio extravergine d’oliva ligure, che è più delicato dagli altri extravergine, senza pestare ma mescolando, con un piccolo cucchiaio di legno. Unisci infine 40 g di grana e altrettanto di pecorino romano, dopo averli finemente grattugiati. Mescola bene e controlla se c’è abbastanza sale, casomai aggiungine, ma pochissimo mi raccomando. Et voilà hai fatto il pesto. (qua l’autore fa un lungo intermezzo sul frullatore e la cottura della pasta, intesa, tra l’altro sulle percentuali d’acqua e infine termina con un capoverso da oscar) C’è ancora un piccolo accorgimento per rendere questo piatto perfetto. Nella tradizione ligure in un piatto condito con il pesto si mescola anche la prescinsoeua , una cagliata di latte, leggermente acida. Dato che al di fuori della liguria è introvabile, molti la sostituiscono con 40 g di burro o altrettanto Philadelphia tagliati a dadini, fidati vanno benissimo entrambi. […]”
(estratto dalle pagine 85-86 e 87 de le “77 ricette perfette “di Allan Bay – ed. Feltrinelli]
Apparte che vorrei davvero conoscere qualcuno che è in grado di tagliare a dadini il Philadelphia, ma andiamo oltre perchè in questa ricetta c’è un concentrato tale di pressapochismo, ignoranza, arroganza, presuntuosità e quant’altro che il pensiero che si continui a pubblicare qualche quesito me lo pone.
Copioincollo la ricetta riportata all’articolo dedicato al pesto:
Questa è la ricetta originale depositata alla camera di commercio di Genova
Ingredienti Percentuale
Basilico (*) 25%-35%
Olio Extravergine di oliva DOP della Riviera Ligure 30%-35%
Formaggio DOP “Parmigiano Reggiano” o “Grana Padano” grattuggiato 15%-20%
Formaggio DOP “Pecorino Sardo” o “Fiore Sardo” grattuggiato 5%-10%
Pinoli 7%-10%
Aglio 1%-5%
Sale grosso 1%-2%
(*) si intente quello di Prà
Che tradotto per condire un 600 g di pasta fa più o meno così
4 mazzetti di foglie di basilico fresco
Olio extravergine di oliva – 1 bicchiere
Formaggio grattugiato – 3 cucchiai di parmigiano e 3 di pecorino sardo
Aglio – 2 spicchi
Pinoli – 1 cucchiaio
Sale grosso – qualche grano
Ricordo a tutti che questo prodotto ha il marchio di Denominazione d’Origine Protetta, o DOP, il che fa presupporre che se uno, chiunque esso sia, foss’anche la signora Nesté, si mettesse a parlare di pesto genovese dovrebbe obbligatoriamente attenersi alla ricetta originale a marchio DOP, la Neslé fu condannata proprio per questo.
Credo che questa affermazione secondo i criteri del signor Bay mi facciano guadagnare la qualifica di fondamentalista o integralista. Ma la domanda nascosta è come mai il signor Bay non ha sentito l’urgenza e l’obbligo morale di andare a leggere la ricetta depositata in camera di commercio, oppure semplicemente recarsi in uno qualunque dei ristoranti/trattorie genovesi per assaggiarlo, o semplicemente documentarsi, anziché pubblicare per vera una roba ignobile e di fantasia?
In realtà faccio un po’ fatica a commentare la ricetta del signor Bay, da dove dovrei cominciare? Da quel fastidiosissimo “tu” o dal presunto ruolo di massaia all’incolpevole braccio della lettrice? Il che fa pensare, tra l’altro, che i suoi libri non sono indirizzati agli uomini. Come bisogna interpretare questa cosa? Maliziosamente posso pure immaginare a uomini meno propensi a farsi infinocchiare da gastronomi fantasiosi. Ma poi ‘sto “tu” … ma chi lo conosce? Com’è che mi da del tu e decide che sono una massaia? Ma che gente frequenta? Ma che corsi di comunicazione ha fatto?
Passiamo alla ricetta: l’unica cosa che ha azzeccato è il mortaio (anche se poi si è rifatto in un lungo pezzo che non ho citato, in cui si dilunga sul frullatore).
Signor Bay capimuse:
a) i pinoli NON si tostano. qua lo sanno anche i bambini di 5 anni che i pinoli tostati coprirebbero il sapore del basilico, prenda nota.
b) l’olio non si mette a sguazzo alla fine, accompagna a filo la preparazione, per questo ci vogliono i mortai a bordo alto e non quelli ad uso e consumo dei turisti, comprati più per soprammobili che per un reale uso.
c) La percentuale d’aglio non è a fantasia. Certo che nel milanese dovete avere un rapporto ben conflittuale con questo ingrediente. Un suo illustre corregionale (già presidente del Consiglio) pretende di chiamare pesto una salsa priva di aglio, lei invece da la sensazione di andare un po’ a caso, 2, 3, 5 spicchi. Mettetevi d’accordo.
d) il pecorino non può essere romano perché essendo un formaggio troppo deciso risulterebbe poco equilibrato nell’insieme.
e) Si usa il parmigiano stagionato e non il grana. E qua secondo me c’è un messaggio subliminale, perché non si comprende proprio il motivo per cui dovremmo usare il grana avendo fior fior di parmigiano a disposizione.
f) il sale non si mette dopo, anche perché essendo indicato il sale grosso non mi parrebbe il caso di ritrovarsi i grani tra i denti.
ma il massimo della goduria la si raggiunge nel punto g, e lascio ai lettori la facile ironia.
g) NON esiste proprio da nessuna parte che si aggiunga prescinsoeua e/o Philadelphia al pesto. L’autore ha scritto che fa parte della tradizione ligure, lo inviterei a indicare le fonti perché da ligure e buona conoscitrice delle tradizioni, della cultura e della gastronomia della mia terra penso di poter smentire senza alcuna incertezza.
Non sarebbe stato più semplice scrivere ch’era una sua invenzione?
Se non temessi d’annoiare, perché comunque gli eccessi di ridicolo finiscono per risultare ributtanti, parlerei anche della ricetta della torta Pasqualina, anch’essa riportata da Allan Bay (a pag 62 di 77 ricette perfette) dove l’autore indica tra gli ingredienti la pasta fillo. Bè già che ci siamo precisiamo che le sfoglie sono di farina, acqua e olio, la loro particolarità sta nell’elasticità e nello spessore, che deve risultare sottilissimo. Lo ribadisco per il signor Bay: le sfoglie DEVONO essere 33, come peraltro riportato fedelmente nel mio articolo, altrimenti trattasi di altro tipo di torta di verdure.
La cosa curiosa e che un po’ mi ha stizzito, è che il signor Bay si proclama contro le ricette della tradizione. A questo punto bisognerebbe capire i motivi per cui continua (però) a pubblicare libri (guarda caso) proprio con ricette tradizionali. Non sarà n’anticchia incoerente? no, eh? Amenoché a veicolare quest’apparente incoerenza non sia un mero opportunismo commerciale.
Se avesse avuto l’arguzia di aggiungere una stringa di testo del tipo “ricette rivisitate da” oppure “le ricette perfette secondo Allan Bay” non avrei avuto da eccepire, ognuno nel proprio piatto ci può infilare le porcate che crede, ma quando ha la presunzione di indicare pomposamente le “77 ricette perfette” oppure “la cucina nazionale italiana” col commento “Questo libro è un repertorio, completo ed esaustivo, delle ricette di oggi degli italiani.” Ebbè, allora no, non si può davvero tacere. Sarebbe come se un veneto accettasse una ricetta con il gruviera nel baccalà mantecato o un napoletano il gorgonzola nella pastiera. É la stessa identica cosa.
Quando si aggiunge ad una propria opera di fantasia la frase “Nella tradizione ligure etc.” io ci vedo una qualche manovra atta a voler fregare l’incolpevole lettore, che si fida dell’autore, fiducia peraltro invocata dallo stesso Bay una ricetta si e una no.
Se un pincopallo non ha voglia di ricette della tradizione, a me sta benissimo, però allora bisognerebbe che smettesse di farci dei soldi strapazzandole e mortificandole. Sicuramente a fare i conti l’aiuterà la laurea in economia politica. Noi qua si prende atto di questo, più che altro.
Se qualcuno conosce il signor Bay, perfavore, me lo inviti a pranzo, sarò lieta di fargli scoprire aromi che, a mio avviso, ignora nonostante ne scriva parecchio.
Comunque vi venisse mai voglia di comprare questo libro, fatemi un piacere, apritelo ed andate cercare una qualunque ricetta della vostra zona, potreste fare interessanti scoperte che, probabilmente, vi farebbero risparmiare un 39 euro netti. Vedete voi.
Ecco, come te su queste cose divento anch’io integralista.
Come quando qualcuno vuole spacciare per ragù napoletano quella che Edoardo definirebbe una semplice carne con il pomodoro.
Quando poi con arrognza e presunzione ci si atteggia ad esperti, vado in bestia
Bravissima Gì hai fatto benissimo a fare questo post…certi chef non dovrebbero davvero scadere nella produzione di questi libri, senza informarsi e trattando chi li legge come povere ‘sdore (=massaie in dialetto bolognese) incompetenti e rincoglionite
Un bacio
Fra
Io non ci provo neanche ad aprire i libri che pretendono di raccogliere tutta la cucina tradizionale italiana. Secondo me e’ proprio impossibile raccoglierla tutta senza fare grossi stravalcioni, piu’ o meno involontari, meglio comprare dei piccoli libri specifici sulla regione (e non parlo delle raccolte allegate ai quotidiani, per me sono inattendibili all’80% come i libri di cui sopra…)
La prima volta che ne ebbi la conferma fu quando vidi spacciata da Gualtiero Marchesi una ricetta di zeppole di San Giuseppe come tipica pugliese, ma si trattava forse delle zeppole napoletane, tipo krapfen e non di quelle pugliesi, che sono delle ciambelline di pasta bigne’ fritte… :))
Ora faccio un post posticcio sul pesto, cosi mi inviti a pranzo!!!!!!!!! :D
Un bacio :)
Hai tanta di quella ragione che dirlo sarebbe pletorico.
A mia volta ho letto in giro di genovesi (quelle napoletane) fatte con il latte, ragù pieni d’acqua, gattò di patate (sì, gattò e non gateau) col mascarpone. No words.
Sono curiosa di sbirciare le ricette campane in questo libro…
Guarda Gì, ‘giorno innanzi tutto..
Dopo che mi hanno detto che un famosissimo chef usa l’olio di tartufo(sì quello chimico) spacciando i suoi piatti al tartufo..beh, condivido l’indignazione.Almeno un po’ di decenza, pane al pane , vino al vino.Pensano che gli italiani siano una manica di mentecatti?!
Posso dire una cosa:grazie ai blog ed alla condivisione quotidina, ho imparato un sacco di cose e, grazie al cielo, la mia soglia di spirito critico si è alzata.
Guarda te…
Grazie gì per le tue attente segnalazioni
Un bacione
Saretta
ben fatto, cara, io anche se non sono genovese lo castrerei!
però allan bay vende e vende molto, io qualsiasi preparazione me la personalizzo, farò male ma le faccio per me, non faccio divulgazione e non scrivo libri, seguo il mio gusto (orribile o buono che sia), poteva chiamarlo pesto di allan bay. le tue ossservazioni comunque sono più che corrette, anche se poi io sono per una totale libertà di interpretazione delle ricette
Io un filino integralista mi reputo, almeno in certi campi… però te tieni ragione.
Non che mi abbia mai entusiasmato: ho comprato il primo libro e poi ho lasciato perdere ;-)
Spero non abbia massacrata qualche ricetta veneta, che mi arrabbio pure io :-P
gunther guarda a me tutta sta malafede tra noi blogger non ce la vedo. Perchè se uno vuole rivisitare una ricetta tradizionale lo esplicita con estrema semplicità e nessuno ha da obiettare. Qua invece l’operazione è parecchio più subdola, volendo far apparire come vera una ricetta che di vero non ha proprio niente, tranne il basilico e il mortaio (ma la ricetta della pasqualina è sullo stesso livello di affidabilità).
Ho scritto questo post proprio perchè mi rendo conto che molti comprano libri di cucina (anche) per moda e Allan Bay è uno che da un po’ di tempo fa moda. Solo che non riesco davvero a capacitarmi dei motivi per cui nessuno (per quello che ne so) si è preso la briga di dirgli il fatto suo. Vuole farsi delle ricette? e che sarà mai? Qua ci stanno un centinaio di persone che hanno fatto ricette su pesti di loro fantasia e non mi pare che sia crollato niente.
C’è troppo opportunismo e sospetta disonestà in giro e alla lunga stanca. Mi pare che gli chef veri sono diversi.
mah
Cristina se ti capita d’andare in libreria apri sto libro, e verifica qualche ricetta, potresti farti una risata anche tu
antonietta essì brava, così mi toccherebbe toccarlo… brrrrr
Giovanna se uno scrive uno strafalcione in un post sono meno intollerante. Non è il suo mestiere,ma mettici dentro che tutto sommato non ci guadagna manco niente…
Se invece uno etichetta come originali delle emerite porcherie pr legittimarle solo per guadagnari più soldi, è colpevolissimo. Lo fa sapendo bene quello che sta facendo. C’è dolo e premeditazione.
Saretta in questo caso sono le italiane a farci la figura delle cretine
Elvira guarda sono stati rarissimi i casi in cui ho riscontrato porcherie da chef veri, in genere sono molto più onesti dei gastronomi ributtanti dell’ultim’ora (anche se la persona in questione si occupa dell’argomento dal ’94)
lydia e Fra il fatto è che la gente, anche nel loro piccolo, dovrebbe dirle ste cose. E anche ad alta voce. Che sti scribacchini la piantino di pigliarci tutte per “casalinghe di voghera”, il troppo stroppia.
ciao! ho letto con interesse il tuo articolo soprattutto la parte relativa al pesto…premetto che non sono ligure ma sono amante del pesto…inutile dire che è praticamente impossibile fare il un pesto che assomigli anche solo alla lontana a quello genovese senza i vostri ingredienti come il basilico di prà…però volevo fare un appunto…seguendo casa alice l’anno scorso Mario Bacherini chef genovese del un giorno ha spiegato come fare il pesto alla genovese e tra gli ingredenti che in origine si usavano ha incluso anche la prescinsoeua; subito dopo ha detto che ormai non si usa molto poichè reperibile con difficoltà però alla base della tradizione del pesto alla genovese usavano proprio quel tipo di formaggio….certo non ha nominato il philadelphia….che fa passare dalla parte del torto quel Bay anche sull’unica cosa che poteva aver azzeccato! poi dato ch ci sono ti volevo chiedere un parere premettendo una cosa: mio suocero va spesso a genova e dintorni per lavoro e ogni tanto si fa dare del buon pesto fresco fatto al momento da alcuni ristoratori e la prima cosa che ho notato nell’assaggio è che appena si condisce la pasta calda con il fuoco spento naturalmente il risultato finale è molto “filante”…io pensavo che essendo il vero pesto questi ristoratori usassero questa famosa prescinsoeua che determinava l’effetto filante…ma a questo punto ne dubito…sarà per la stagionatura diversa dei formaggi?
La prescinsoeua??? Oddio!!! Mi associo all’indignazione!
Da genovese doc ti volevo ringraziare per questo post… E’ la prima volta che ti scrivo anche se ti leggo da un pò, ma questa volta ci voleva proprio… In effetti in giro si vedono/leggono cose riguardo al pesto che sono da pelle d’oca… Qualche anno fa ho visto una trasmissione su raisat gambero rosso dove c’era una signora di Portovenere che insegnava a fare il vero pesto genovese (?) e nel frullatore metteva, oltre ad una bottiglia e mezzo di olio, anche il prezzemolo “per donare il caratteristico colore verde”… Non credo di aver mai visto a Genova un pesto liquido, oleoso e verde fosforescente…
A presto,
Fra
Vanessa ovviamente non ho visto la trasmissione però sono andata a cercare info e scopro che:
CASA ALICE
Condotto da Franca Rizzi, è considerato il programma storico del canale. Nelle puntate lo chef Mario Bacherini propone le sue ricette mentre la conduttrice Franca Rizzi si dedica alla “ricetta del giorno” e i telespettatori presentano in studio il loro piatto forte; nel programma vengono ospitati esperti del settore.
(fine copiaincolla)
Quindi se il signor Bacherini mostra in TV come fare le sue ricette può fare e disfare tutto quello che gli pare, altrimenti, se parla di ricette che hanno una storia di qualche centinaio di anni e la cui tracciabilità è reperibile, oppure ancora, come per il pesto, sono ricette depositate (depositate significa registrate e immodificabili) mi pare che qualcosa non torni.
Cioè capiamoci, non è che tutto quello che appare in TV sia la bibbia, a me in questo moento vengono in mente gli strafalcioni della Lambertucci o della Clerici (ma prima o dopo di loro c’è un lungo elenco)
Io ho postato il link e la ricetta depositata come DOP, e lui? Ha citato la fonte? eh…. questo fa la differenza, mi pare, o no?
:-)
sul pesto filante mi hai fatto venire un sospetto… dì la verità, ma tu la pasta la condisci in pentola?
il solo calore della pasta non ce la dovrebbe fare a far filare la percentuale di formaggio.
Ho provato il pesto di
Rossi e non mi pare proprio che abbia fatto quel tipo di scherzo (ho solo scolato le trenette, con patate e fagiolini e le ho condite nel piatto).
Sarachan ma anfatti. Poi dico io, come si fa ad associare la prescinsoeua che è acida ad una salsa ch’è delicatissima?
Persino i pinoli tostati o un pecorino più deciso del sardo andrebbero a rovinare il perfetto equilibrio, figuriamoci un elemento acido.
mah
Francesca questo del prezzemolo è un vizietto dei foresti (ma anche di qualche ligure che vuole risparmiare sul basilico, magari d’inverno che costa una cifra) i primi lo facevano per camuffare il sapore di menta del loro basilico, i secondi per poter spacciare (e far pagare)nei loro ristoranti una doppia produzione di pesto (comparando solo metà basilico).
I furbetti stanno ovunque, la Liguria non è esente, ma per fortuna non sono tutti così.
Ci sono delle trattorie dove vado apposta per mangiare corzetti al pesto e lo fanno ancora al mortaio, ne fanno poco, ma buono come quello di casa. Ed è giusto riconoscerglielo divulgando le informazioni.
A proposito di basilico costoso… Mi puoi consigliare un posto dove vendono del buon basilico di Prà? Di solito vado al mercato orientale ma non sono molto soddisfatta… Secondo me spacciano altro basilico per “basilico di Prà” e poi credo che sia molto caro…
Grazie…
Te dovevi fare politica, dovevi fare…il paese ha bisogno di cani da guardia come te! Ora sei al servizio delle ricette tradizionali, ma vuoi mettere, per es., a guardia della Costituzione! Ti arriva un Maroni qualsiasi? Giù le mani dall’unità dello Stato, pussa via! E giù bacchettate sui mar…ehm, sulle mani!
Nel merito della questione, per la quale è davvero difficile darti torto: anch’io il formaggio fresco nel pesto non l’avevo mai sentito, mi sembra proprio una nota stonata.
Per il resto penso che la colpa sia della fame, e sete, insaziabili che ha il mercato di libri di ricette, e così ecco che bisogna sfornarne sempre di nuovi e le castronerie diventano all’ordine del giorno. Il primo libro di Bay non era male, ma dopo quello io non ne avrei scritto più (certo se m’avessero dato i soldini a palate che han dato a lui….c’avrei messo pure la majonnese nel pesto!!).
Comunque complimenti per l’analisi, lucida, precisa, degna di un’arringa dell’avv. Buongiorno.
Era un pò che non ci si sentiva…eh? a presto!
Ciao-ciao!!
P.S.
Ma i fagiolini e i cubettini di patata nell’acqua con la pasta ci vanno o no? A me a Genova così li han serviti…
gììììì…ma quante cose che imparo!!
ed io che ero così felice di aver trovato il libro di ricette con l’aglio di allan bay…
ad 1eu!!
hahahahahaha
però mi hai incuriosito!
adesso me lo rileggo e starò più attenta..anzi farò un pò di ricerche pure io.
no perchè anche in questo libretto sull’aglio è mooolto sicuro di se stesso il nostro, mr bay.
si si…
mi sto già fregando le mani!!
buonissima serata
baciusss
hai ragione…piuttosto chiamalo in un altro modo dicendo che è un’ispirazione dalla celebre ricetta….e poi a me sto qui mi sta antipatico: io non ho le braccia da massaia e non sono amica sua! ecchecavoliiii
Giho letto il tuo post con il vero piacere! Brava!
E mo’ m’hai fatto venire voglia di andare a sfogliare quel libro.. Credo che non aspetterò molto!
Ciao, a presto!
Mi trovi totalmente d’accordo, fiordisale: il signor Bay è uno dei tanti milantatori che stanno cavalcando la moda della cucina che imperversa ovunque e che si credono detentori della vera verissima cucina, sia essa tradizionale sia innovativa…
I suoi libri mi arrivano direttamente dalla casa editrice per il mio programma radiofonico e le prime volte ci “cascavo” e ne parlavo e l’ho perfino intervistato un paio di volte. Poi mi sono accorta che ancora una volta “non è oro tutto quel che lucica” e quando ora mi arrivano libri come quello che hay stroncato li getto direttamente nel cestino.
Il pesto poi… Persino una itagnola come me consce e rispetta la ricetta dop.
Allan Bay non solo non è un cuoco, è uno che, per sua stessa ammissione, ha imparato a cucinare sui libri e in casa non ha mai visto prendere in mano un mestolo. Ha messo in piedi un vero e proprio businness che trovo privo di sostanza, perché si basa su un pessimo presupposto: la presunzione.
(E adesso c’è pure la sorella che imperversa!)
Da una quasi ligure: GRAZIE PER QUESTA TUA DIFESA DEL PESTO ALLA GENOVESE… delizia del palato!!!
un abbraccio
Io, stando a Roma, o mi faccio il pesto con il basilico mentolato delle parti nostre o mi compro un vasetto di pesto di Prà, fatto secondo il disciplinare con gli ingredienti Dop (molto meglio e piuttosto buono, devo dire). Ma la cosa del formaggio che si incolla un po’ capita anche a me, e non condisco la pasta nella pentola. Chissà perché…
Una lettura carina e leggera contro i fondamentalismi è “Il pesto”, racconto di Nico Orengo apparso su un Micromega del 2006.(Il cibo e l’impegno)
Nel racconto indica le dosi depositate alla camera di commercio ma dice che tutto il resto è magia zen!
Ciao!
Francesca se sono a Genova il basilico lo compro all’orientale o in un altro mercatino rionale. normalmente ne piglio una busta da 10 mazzi e non spendo grandi cifre (quello che mi avanza lo congelo)
al supermercato MAI!
giò qua il discorso è che ci si sta stufando di tutto e tutti. Di gente che fa caos per il 10% in più a sky ma non spreca una sola parola sulle detrazioni per il risparmio energetico (sto tentando di fare un articolo, ad avere il tempo, maledizione!).
Bay è da ascrivere nella categoria di furbetti del quartierone e in quanto tale, era giusto puntualizzargli i punti cardine, non credi?
la ricetta di pasta al pesto con i fagiolini e patate si chiama “trenette avvantaggiate” (ove per “vantaggio” si indica proprio queste aggiunte che sono esterne al pesto e cuociono assieme alla pasta)
appena respiro ti scrivo, perché mi manchi, cavolo!
brii ce l’ho anche io, come ne ho altri. Solo dopo 77 ricette perfette ho deciso che non meritava assolutamente nemmeno 5 secondi del mio tempo.
Lo ma anfatti. Almeno un po’ di onestà, cavoli
rossa di sera poi dimmelo eh se trovo qualche altra chicca, potremmo farne una raccolta
Marina ecco credo che in assoluto la cosa più fastidiosa sia proprio quest’arroganza del signor “so tutto io” che poi sfocia in un pressapochismo ignorante.
Penso che sia la cosa che mi ha irritato di più.
Si vuole fare il pesto? E che se lo faccia, se lo inventi. Ma non stia ad inventare storie per legittimare quello che scrive.
Questa in italiano come si chiama?
ecco, appunto.
Elisabetta è vero. e ti dirò di più, i libri degli chef che ho a casa non fanno di questi errori grossolani.
anche perché non hanno alcuna convenienza, se modificano una ricetta (come fece il buon Zeffirino)lo dichiarano. forse perchè sanno di cosa parlano, mettiamola così.
franci eh ma roba da matti.
Passi per J. Oliver, anche lui nel suo libro di ricette italiane (mi pare il primo?) riporta la tostatura dei pinoli nel pesto (tra l’altro, è il motivo per cui non comprai il libro), però onestamente uno pensa sto guaglione è straniero, ancora grazie se ha capito cos’è il pesto e come si usa, non ci si sta a far la guerra per due pinoli (anche perché è lampante che si è fidato di informazioni riportate), ma da uno che vive in Italia e che con lo sforzo di un’ora e mezzo potrebbe venire a mangiarselo in loco o con un click potrebbe documentarsi…. ebbè allora no. non gliela passo per la seconda volta.
Mog non so cosa dire. io uso pecorino e parmigiano stagionati e non me lo ha mai fatto (ma mai eh). Secondo me c’è troppo formaggio e poco olio (prossima volta mi mandi una fotina? anche fatta col telefono, giusto per vedere la consistenza).
Che marca compri? Hai guardato che tra gli ingredienti non ci fossero robe fantasiose, ‘nsisammai!?
Anche perché pensaci un po’, com’è possibile che una pasta scolata e che quindi perde di botto un tot di gradi di calore, a cui viene aggiunta una salsa fredda, che si mescola subito e velocemente, ecco… come fa a filare?
o rimane li ferma per un tot di minuti o la si mescola in un fornetto oppure i formaggi dentro non sono quelli indicati nella disciplinare (o nelle giuste proporzioni).
Non so, che altra spiegazione ti daresti?
L’altra sera ho visto un barattolo con su scritto “pesto genovese” e dentro, tra gli ingredienti, erano citate le patate e l’olio di semi. Per lo stesso motivo la signora Neslè è stata condannata, avrei voluto avere il tempo per andare dai nas, in procura e scrivere una letterina anche al signor “la coop sei tu”. Non per altro, ma perché se la stessa identica cosa succedesse in un’altra città sarebbe deplorevole ma nel mucchio ci potrebbe pure stare tra i rischi. Ma qui no, cribbio. Almeno qua (uno spera) che i direttori commerciali sappiano che il pesto è fatto di soli 4 ingredienti (e che ha una disciplinare) e dovrebbero rifiutarsi di commercializzare porcherie.
Perchè almeno nei luoghi d’origine uno dovrebbe avere maggiori sicurezze di qualità, dai!
fiordisale TI ADORO!! finalmente qualcuno che mantiene lucidità in questo mare di blog, libri, commenti etc etc in cui molti noti (non faccio nomi) sembra abbiano proprio perso la trebisonda….
E se forse invece qui si trattasse davvero di integralismo eccessivo?
Intendiamoci, ben vengano tutti i possibili marchi e denominazioni varie che contribuiscono alla protezione e alla garanzia di un prodotto e che ritengo indispensabili per evitare che aziende con pochi scrupoli possano mettere in commercio prodotti che di tradizionale riportano soltanto il nome (o una sua variante, si veda il famoso caso “parmesan”).
Concordo anche sul fatto che Allan Bay abbia scritto, scriva e probabilmente scriverà ancora un mucchio di castronerie, più o meno gravi, come molti altri famosi “cuochi di libreria”. Non nego nemmeno che il tono da lui utilizzato sia presuntuoso, insopportabile e insostenibile da molti lettori.
La domanda che tuttavia mi permetto di porre, da inesperto, è se parlare di “cucina tradizionale” (o “nazionale”, come riporta il titolo del libro) debba per forza prevedere una stretta aderenza alle ricette depositate (che, ribadisco, sono state depositate più che altro, credo, per evitare frodi di tipo alimentare – da cui la presenza di percentuali “matematiche” nella formulazione della ricetta registrata) o se non sia piuttosto da intendersi a livello più generale.
Ammettendo che la ricetta della casoela sia stata deposita (non credo, però…), se mia nonna, che la ricetta l’ha imparata da sua madre, la quale a sua volta l’aveva imparata dalla sua e così via, deviasse nella sua preparazione dalla casoela con l’imprimatur DOP, forse che il suo piatto non si meriterebbe l’appellattivo tradizionale? O ancora, un’espressione del tipo “i piatti della tradizione campana” indica forse soltanto piatti la cui ricetta è stata depositata con marchio DOP? E, per tornare al nostro esempio, il ricorso alla prescinsoea (e non certo, sono d’accordo con voi, al Philadelphia), è davvero da considerare al di fuori della tradizione? Non ho avuto tempo per ora di documentarmi su enciclopedie quotate e accreditate, eppure ho trovato online e per iscritto diverse testimonianze di un uso di tale cagliata per – cito da una – “ingentilire” il pesto. Non credo che tutte risentano dell’influenza di Bay, anche perché alcune sono precedenti alla data di pubblicazione del volume… Esiste perciò una “tradizione” (minoritaria, forse) per l’uso della prescinsoea.
Occupandomi per lavoro di “tradizioni” (ancorché manoscritte), di “trasmissione di testi”, per “tradizione” mi piace (piacerebbe) intendere non la forma cristallizzata nella ricetta DOP, ma il risultato di quei fenomeni che hanno saputo diffondere e trasmettere in questo caso una preparazione chiamata “pesto” che nel corso degli anni (prima di essere depositata per evitare truffe ai consumatori), sono convino abbia subito diverse evoluzioni e trasformazioni, e di sicuro molte varianti (eretiche forse per molti, ma non dimentichiamoci che il discrimine tra eretico e ortodosso sono i vincitori ortodossi a deciderlo!).
Mia nonna è convinata di prepararmi la cassoela lombarda perfetta e si scandalizza quando vede come la prepara mia zia (di un paesino ad appena 6 km dal suo) la quale, ça va sans dire, non può tollerare alcune di quelle che lei considera “intemperanze” nella preparazione di mia nonna.
Sono convinto che per quanto riguarda molte delle ricette tradizionali esista un canovaccio, più o meno elastico e duttile a seconda della preparazione e degli ingredienti, sul quale la tradizione si sia poi sviluppata, sperimentando, innovando e modificando anche in base alle disponibilità o ai gusti del momento. La tradizione è qualcosa di vivo. E, anche se ogni tanto mi duole riconoscerlo, sono tradizioni anche alcune “eresie”, sempre che possiedano una storia di rintracciabilità.
E’ davvero importante dire “questo è il pesto come lo faccio io”? L’importante credo non sia svendere qualcosa per qualcosa d’altro (e non mi pare che il signor Bay abbia intitolato la ricetta “Pesto alla genovese DOP”).
Non corriamo il rischio di musealizzare la tradizione.
Allora, egregio pl, se mi permette comincio con un ringraziamento per il commento, che comunque offre degli spunti di riflessione, e mi da modo di esplicitare ancora più approfonditamente il mio pensiero. Mi permetto di chiedere il permesso di darle del tu (e ci scusi il bisticcio di parole:-), per egoitica pigrizia da carenza di tempo, ‘che mi conosco, nella foga potrebbe scapparmi, quindi tanto vale dichiararlo, Il che ovviamente non significa che intenda attribuirmi più confidenza del dovuto, capimuse :-))
Cominciamo col dire ad esempio (cito) “E’ davvero importante dire “questo è il pesto come lo faccio io”? L’importante credo non sia svendere qualcosa per qualcosa d’altro (e non mi pare che il signor Bay abbia intitolato la ricetta “Pesto alla genovese DOP”)” Ebbè si è davvero molto importante, direi fondamentale, più che altro è un atto di lealtà verso coloro che leggono. Allan Bay è vero è stato furbetto, (ma potrebbe essere chiunque, capiamoci, a me non interessa il signor Bay nel senso assoluto e generico del termine) dicevo Allan Bay nei suoi libri fa una cosa molto più subdola, che mi fa pensare molto male, titola la ricetta con un generico “pesto” dopodiché nel contenuto spiega che è inutile chiamarla “pesto genovese” perché tanto lo sappiamo tutti che il pesto è solo genovese. Una logica da mente brllantissima, non c’è che dire.
Peccato, tra l’altro, che si contraddica al paragrafo successivo con un’altra ricetta pestosa chiamata (appunto)“pesto alla trapanese”. Non puzza un po’ ‘sta cosa? Non fa sospettare che chiunque divulghi prodotti manomettendo una dop potrebbe avere qualche problemino, quindi cerca l’escamotage come fece la Neslè, che tra l’altro fu condannata perchè usava ingredienti a fantasia come l’autore in esame?
Siamo sicuri che non sia un suo bel paracadutino, magari per poter scrivere, oltre al braccio della massaia, robe tipo la prescinseua, il philadelphia o altro? Chissà
Francamente non so e non mi occupo di cucina padana e quindi con maggiore onestà rispetto ad altri, ammetto senza problemi che di cassoela e quant’altro ne so poco e quel poco è solo a carattere superficiale o perchè l’ho assaggiato, nulla di più. Ma sulla cucina genovese (che, lo sottolineo, non significa ligure) qualcosina so, e qualcosina ho letto e putacaso tra le mie letture ci stanno copie di libri che qualche annetto ce l’hanno e in nessuno di questi è riportata la prescinseua. Sarà una sfigata coincidenza?
Nel caso avessi informazioni inerenti la prescinseua nel pesto saranno graditissime, per quello che ne so io si usava nel levante ai primi del 1900 AGGIUNTA al pesto per formare la crema da mettere nelle lasagne (“aggiunta” …. si capisce la differenza, si? un po’ come le patate e i fagiolini, anche loro sono aggiunti per fare le trenette avvantaggiate) questo prima che la gente non preferisse la panna o la besciamella, che risultano essere meno acide e con più o meno la stessa consistenza cremosa!
Però, al di la delle teorie, perchè non proponiamo la prova?
prova a) trenette al pesto (avantaggiate o meno)
prova b) trenette al pesto E prescinseua
secondo me basta il palato per far capire la castroneria.
Sulla filosofia dell’integralismo forse parli con la persona sbagliata, se noti sulla destra dello schermo c’è un logo del concorso del pesto il cui link proietta direttamente in un mondo di infiniti pesti possibili, partendo dalle varianti al genovese operate dalla chef Zeffirino fino ad arrivare alla fantasia dei blogger.
Questo per dire che qua non ci si è per nulla fossilizzati al dictat “non avrai altro pesto all’infuori di me” tutt’altro. Però si ha (anche) la volontà (e la capacità) di distinguere tra una ricetta che fa parte della cultura e della storia millenaria di un popolo (in questo caso alludo al genovese, ma è un discorso che vale per qualunque paese-città-regione). Perchè è questo il culmine del mio inorridimento di fronte a castronerie di divulgazione di massa nello stile del signor Bay, tra 50 anni chi si troverà tra le mani sto popò di reperto farà esattamente le stesse osservazioni che fai tu di fronte ai reperti che hai trovato, attribuendo (magari) una attendibilità immeritata. Ci avevi pensato?
Vedi tra le tante regioni, questo problema di attribuzioni non sussiste o esiste in maniera molto minore o marginale, per il semplice fatto che il buon Artusi pensò bene di andarsene in giro e codificare-registrare il cibo da viandante che incrociava. Noi liguri non abbiamo avuto questa fortuna, chennesappiamo, magari aveva bisticciato coi dogi dell’epoca ed aveva l’interdizione ad entrare in Liguria, o forse era inseguito da un marinaio geloso :-)))
Però al di là dell’Artusi, ci sono state altre tracce, chessò l’Alizeri, che dettagliò in maniera spettacolare la sua guida del viaggiatore in Liguria della casa editrice Forni che per i libri antichi gode di ottima credibilità, ma ultimamente si sta ritornando ad investire sulla conservazione del passato e la fondazione Carige in questo è molto attenta e scrupolosa. Per libri più recenti sia genovesi che liguri c’è la casa editrice De Ferrari che ad oggi continua ad essere tra le più affidabili, Poi ci sarebbe la arcinota cuciniera genovese risalente al 1863 ma ahinoi, neache i Ratto citarono la prescinseua tra gli ingredienti del pesto.
La disciplinare è una cosa seria, sono certa che tutti si rendono conto che prima di codificare una ricetta per tramandarla integra ai posteri, si fanno parecchi studi, perchè il rischio che potrebbe sempre arrivare un signor Bay qualunque pronto a schiaffare tra gli ingredienti qualunque cosa esiste sempre.
Ah quanto ho detto per il pesto, vale anche per pasqualina, Bay indica di usare 2 fogli di pasta fillo in luogo delle 33 foglie, vien da chiedersi se fa ricette o fa lo spiritoso.
Per me un lavoro serio si differenzia da altro perchè è in grado di arricchire e/o integrare informazioni di un remoto (o di un passato), senza avere bisogno di manometterlo, magari con una nuova ricetta, come ha fatto Zeffirino, ed è esattamente per questo motivo che per me tutti quelli che si comportano come Bay sono criticabili, pensano di poter scrivere qualunque cosa per farci dei soldi sfruttando la diceria che tra tutte le culture quella gastronomica sia la meno diffusa e quindi conosciuta.
Ma questo tipo di atteggiamento ci metterebbe a rischio, come in realtà è successo e sta succedendo, di trovarci di fronte a bontemponi che negano pezzi di storia, come la shoà, hai presente? Oppure la Resistenza e via dicendo. Una bella lotta.
piesseuno
per mettere pace tra nonna e zia si potrebbe pensare ad un Artusi ciascuna.
piessedue
da tutto il commento non ho capito però una cosa e ho una domanda che continua a frullarmi in testa: perchè se esiste una ricetta dop non ci si dovrebbe attenere (quantomeno negli ingredienti), chiamando magari in altro modo eventuali sperimentazioni? Qual’è il problema? Non c’è il rischio di attribuzione indebita? non c’è malafede nella divulgazione?
qua non si parla della casa del signor Bianchi, perché nel proprio privato ciascuno può fare quello che crede e vuole, io sto parlando di una informazione divulgata ad un pubblico. Seguendo la filosofia indicata nel commento, chiunque potrebbe sentirsi autorizzato a fare dei libri-articoli-dispense-etc. indicando come vero un pesto senza aglio, seguendo le mode politiche del momento e persino che la bomba atomica non è mai stata lasciata cadere su Hiroshima. Ma a quel punto, mi chiedo, come mai cisi scandalizza solo se vengono violate le dop del parmigiano, del lambrusco, etc.? Hanno più dignità di essere rispettate del mio pesto?
Gentile fiordisale, la ringrazio innanzitutto per aver risposto al mio commento che – spero – abbia capito non voleva essere in alcun modo né offensivo né polemico nei suoi confronti o in quelli del suo blog, di cui sono da tempo assiduo lettore. Parlavo di integralismo perché la parola veniva evocata nel titolo del post, lungi da me qualsiasi altra possibile insinuazione.
Anche io mi scandalizzo quando vengono violate le DOP del parmigiano, del lambrusco eccetera e anche del pesto alla genovese. Sono preparazioni depositate e chi si renda responsabile di adulterazioni o frodi in proposito deve poter esser punito a norma di legge. Ma qui, secondo me, sta il punto. E’ sacrosanto che io non debba trovare al supermercato un vasetto di mistura verde impropriamente etichettato come “pesto alla genovese” (o lambrusco o parmigiano… Spero si capisca che non ce l’ho assolutamente col suo – e col mio – pesto. Mi è servito soltanto da spunto per questa conversazione), ma mi riesce difficile applicarlo anche a un libro di ricette. Perché con un libro di ricette non si vendono prodotti fatti e finiti, si danno le istruzioni su come prepararli, e tali istruzioni sono dettate anche dalle finalità del libro, da quello che si immagina possa essere il suo potenziale pubblico eccetera. Il ricettario di Allan Bay è una spudorata operazione commerciale, come lo sono molti altri libri pubblicati sui più svariati argomenti, dalla politica all’economia alla storia. Non li compro o, se lo faccio (o se ancora mi capita di averli sottomano per lavoro), cerco di leggerli criticamente, individuandone limiti e difetti. Se fosse per lei, per me e per molte altre persone, probabilmente venderebbero di più ricettari che riportano le ricette DOP o raccolte secondo metodi “filologici”, così come libri di storia lontani da ogni forma di revisionismo e via di seguito. Ma le logiche di mercato – purtroppo – sono altre. Si dovrebbe prospettare un pubblico più “educato”, più “critico”, di fronte al quale l’autore si dovrebbe sentire intimidito e spronato a ricercare il vero e il meglio. Ma non mi pare sia questa la situazione itaiana. Tuttavia non mi scandalizzo (soprattutto se si tratta di divulgazione) se non di fronte alla malafede che, in tutta onestà (ma mi posso sbagliare), non riesco a vedere in Bay.
Poi è vero, non mi spiego come uno si possa reinventare a un certo punto “esperto” di gastronomia e cucina e arrivare a ottenere un incarico universitario quale professore di cucina. Ma credo che qui il problema stia più che altro nell’ego del nostro, non nella malafede.
Poi non stiamo troppo a preoccuparci. Nel caso tra cinquanta o cento anni qualche illustre filologo del futuro si dovesse trovare tra le mani il libro di Bay, saprà benissimo come catalogarlo: fonte indiretta, al massimo (e quindi al di fuori dello stemma della tradizione).
Penserò all’Artusi per nonna e zia, ma temo che di fronte a una terza (seppur blasonata) versione della ricetta, le due si troveranno, almeno per una volta, alleate insieme contro il grande romagnolo.
noooooo…. il burro nel pesto……. nooooooooooo
pl invece io ci vedo parecchia malafede, altrimenti come si spiegherebbe che per attribuire credibilità al suo scritto il signor Bay indica delle tradizioni liguri inesistenti?
Forse io non mi sono spiegata bene, o forse i modi amicali del signor Bay inducono ad un eccesso di tolleranza, più da bontemponi che da esperti gastronomi, diciamocelo, ma bisogna anche assumersi delle responsabilità e una maggiore consapevolezza, perchè se, nella remota ipotesi che il signor Bianchi, fidandosi della fama del signor Bay, comprasse questo libro per omaggiare un amico austrialiano, invierebbe in giro per il mondo delle emerite porcate, a cui verrebbe attribuita un’affidabilità irreale mettendo in secondo piano, magari un domani, la vera ricetta del pesto dop. Questo è un falso. Sono state pubblicate delle notizie false al solo scopo commerciale, e a me pareva giusto puntualizzarlo.
tacere, in questo caso, equivarrebbe ad essere correi, la tolleranza c’entra poco.
questa è la differenza.
brava, che personalità! sono fiera di te. ho due libri di Bay in casa, mi viene voglia di buttarli per paura che facciano danni da anti-cultura. E poi anche a me dà molto fastidio il modo in cui si rivolge a chi lo legge (per forza donne?).
Grazie per questo post, che ho trovato molto intelligente
ahahahah post stupendo cara Fiordisale, sottoscrivo in pieno :-) Costa 39 euro il libro?! Guarda, nemmeno se me lo regalano, meglio donare questi soldi a chi ha bisogno.
clap clap clap
Concordo in pieno con la ua analisi, mi spiace molo che gente come Bay veda cosi tante copie perchè la sua filosfia di cucina e’ puramente ommerciale e sono dell’opinione che il milanesone comelui che sa tutto e di più non dovrebbe nemmeno pensare di pubblicare ricette tradizionali,invece piuttosto io ho assaggiato un grande versione di pesto come tu lo descrivi ma con l’aggiunta di patata e fagiolino in erba, siccome questo e’ successo tanti annifa ma i ricordo e’ sempre vivo credo che sia qualcosa di positivo, cosa ne dici?
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