Sugli spaghetti alla carbonara si sono versati litri di inchiostro prima, e megabyte oggi, io contribuirò nel mio piccolo ad analizzare il mito di questa ricetta dalla paternità incerta. Il pretesto me lo ha dato un caro amico romano venuto in visita a Genova, e col quale ho diviso un piatto della suddetta. Ripercorrendo l’origine della nostra amicizia siamo finiti a parlare della trattoria “La carbonara” che si affaccia a Campo de’ fiori. In quest’occasione ho scoperto che la trattoria si chiama così per omaggiare il padre della titolare Andreina, un certo Federico, che nei primi anni del secolo scorso aveva una bottega di carbonaro lì intorno, e non, come ho sempe pensato, un omaggio alla famosa pietanza. Sulle origini della carbonara invece le cose si fanno più complicate ed incerte, dopo ore di discussione dove R. sosteneva la tesi di moda adesso, per cui la carbonara è un residuato della seconda guerra mondiale, poiché, sempre secondo la diceria in circolazione, fu importata dalle truppe americane sbarcate in Italia; in origine la pancetta era il più famoso bacon e le uova erano in polvere. Però secondo me questa ipotesi non regge, perchè le truppe si innamorarono, si, della pasta italiana e degli spaghetti sopratutto, ma li apprezzavano al pomodoro, usanza che si portarono dietro quando tornarono nel loro paese. La mia ipotesi invece è molto più datata e romantica. Difatti secondo le informazioni che ho raccolto fu importata nel Lazio dai carbonari, cioè dagli uomini che fino ai primi decenni del Novecento si recavano nei boschi di questa regione a fare il carbone di legna. Era un piatto sostanzioso in grado di placare l’appetito di questi lavoratori, infatti prevedeva un sugo fatto con il guanciale di maiale tagliato a fettine e cotto in padella con olio e aglio; una crema di uova, parmigiano e pepe, in cui si versavano gli spaghetti cotti al dente che venivano ricoperti con altro parmigiano e il sugo del guanciale.
L’unico punto su cui, io e R., abbiamo concordato è che l’immissione del pecorino è recente e modaiola, perchè il piatto originale in queste, come pure in altre tesi, prevedeva il parmigiano o altro formaggio stagionato ma con un gusto meno marcato.
Sarebbe interessante scatenare un gruppo di lavoro romano perchè indaghi tra gli scafali delle biblioteche romane al fine di reperire ulteriori fonti, a me pare strano che le decinaia di scrittori ed artisti romani e li in transito non abbiano mai speso una sola parola su questa pietanza, soprattutto vista la mole di tracce storiche che ho reperito sulla gastronomia ligure, lasciate da quei pochi artisti in visita turistica. In attesa di svelare questa leggenda metropolitana, teniamoci quest’incerta origine che ha contribuito, in fondo, ad alimentarne il mito.
Oggi, forse, se ne consumano meno a causa dei pregiudizi dietetici che affliggono la nostra società, ma negli anni del dopoguerra, e fino agli anni settanta, gli spaghetti alla carbonara erano il piatto allegro per tutte le occasioni. Erano lo “Spaghetto di mezzanotte”, il piatto estemporaneo a qualsiasi ora del giorno o della notte. Restano comunque un caposaldo nel vasto mondo della pastasciutta, e sono radicati nell’intero territorio, quasi come la pizza, a volte reinterpretati, e, purtroppo talvolta rovinati (vedi l’inserimento coatto della panna).
Veniamo alla ricetta, ripropongo quella che più si avvicina al mito dell’originale, nelle poche tracce che ho trovato in giro. Tagliare la pancetta a piccole fettine, (che nel tempo sono diventati cubetti!!!), rosolarla lentamente in padella con poco olio: sottolineo il lentamente, perché deve raggiungere una leggerissima colorazione uniforme senza indurirsi o diventare croccante. Nel frattempo, in una ciottola abbastanza capiente, sbattere le uova, la regola dice un tuorlo per commensale più un uovo intero, aggiungere il formaggio e abbondantissimo pepe. Quando la pasta sarà al dente aggiungerla alle uova , quindi aggiungere la pancetta calda e mescolare bene.
Come si noterà non vi è traccia di panna, e francamente ho fatto una piccola ricerca per capire da dove è sorta quest’usanza, stramba e deleteria, di aggiungerla nella carbonara, non se ne capisce nemmeno la funzione perchè la salsina di uova crude e formaggio non è così secca da necessitarne e il contributo di grassi proveniente dalla padellina della pancetta è più che sufficiente senza aggiungerne altro, se qualche lettore ha ulteriori informazioni, di quest’immissione, sarebbe davvero interessante capirne l’origine, comunque questa moda per fortuna non ha attecchito ovunque. L’errore comune, soprattutto nel nord, è di ripassare la pasta nella padella della pancetta, per raggrumare l’uovo, lo facevo anch’io, sarà stato un pregiudizio sulle uova crude, però ho notato che così facendo si cambia tutto l’aroma e la ricetta di fatto viene stravolta.
Due-suggerimenti-due, innanzi tutto cuocere sempre la pasta in abbondantissima acqua e poi, di qualsiasi pasta si tratti, sotto lo scolapasta mettere sempre un tegamino. L’acqua di cottura serve se, una volta mescolata, la pasta risultasse troppo asciutta, mi pare che la pastaiola, o pentole simili, assolvano a questo rischio (altro che aggiungere panna!).
Ingredienti (per due)
180 g di spaghetti (con gli integrali si aggiunge un tocco notevole)
120 g di pancetta a fettine (o cubetti?);
3 uova (2 tuorli e un uovo intero);
70 g di parmigiano;
2 cucchiai di olio;
sale (poco) & pepe nero (tanto).
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Tra mito e realtà, ovvero gli spaghetti alla carbonara | fiordisale…
interessantissima questa storia della carbonara! mi piace quando nei blog si agiungono curiosità sulle ricette o sulla loro storia. da una marcia in più ai post! bravissima
che carina la fotina! e poi, mi trovi decisamente d’accordo quanto ai tuoi 4 ingredienti, oltre agli spaghetti. no latte, no panna. forte questa ricerca che hai fatto!
che foto ragazza complimenti! Essendo romana doc potrei mettermi alla ricerca della storia perduta della carbonara, magari faccio passare queste feste che ho già qualche cosuccia da fare ok? ;-) Pero’ da romana e NON da modaiola userei il pecorino. Bacui e buon inizio di settimana.
D’accordissimo sull’uso della panna: falsa il sapore di questo buonissimo piatto! deleterio…!
anche io ripasso in padella il tutto..l’uovo crudo mi fa una certa impressione…pero’ è tutto un’altro gusto con la tua ricetta!
ciao,
Grazia
Ho comprato proprio ieri un libro (Bigazzi-Grassi – LA CUCINA DEL BUONSENSO) dove ci sono alcune semplici ricette (come questa) in veste (spero) originale… Di Bigazzi mi fido… O non c’è da fidarsi??? Se trovo qualche novità sulla Carbonara mi rifaccio viva!
PS: Da oggi guido la mia macchinina… Genovesi tremate!!! La pummar’lella rossa c’è!!!
Mmmh qui bisogna andare negli archivi impolverati a cercare qualche atto prrocchiale… he ci vuole un paio di mesi di ferie e il gioco è fatto! :(
Ma davvero ti piace leggermi??
Ciao
Marco
Oppppsssss chiedo scusa a tutti per il ritardo, tra il lavoro e il mio gironzolare tra i blig altrui, per curiosità, si certo, ma anche tanto per imparare l’intrigante mestiere di blogger, mi ero quasi scordata di dare un occhio al mio, e quindi a voi. scusate! per punizione risponderò punto punto a ciascuno…
Monica se devo dirti la verità, l’unico motivo per cui io mi sono riavvicinata alla “cucina” è stata appunto la sete di informazioni e il desiderio di acquietare le mie curiosità, il blog è stato il migliore dei miei pretesti, forse per questo un po’ lo amo. Questa continua ricerca (che non ha mai significato ricerca del nuovo o nouvelle cousine) ha fatto si che in fondo io modificassi sia il mio modo d vivere (un po’ troppo alla giornata) e di spaziare ed approfondire anche ricette che conoscevo nell’esecuzione ma non nella letteratura, mi piace questa cosa, è come vedere gli stessi panorami, chessò i prati, dalla parte delle radici.
Adina dì la verità, mi stai a piglià in giro? tu che fai delle foto stra-bellissime, davanti alle quali rimango incantanta ed a bocca aperta come i bambini di fronte alla realizzazione dell’impossibile, fai i complimenti ad una dilettante allo sbaraglio come me? hahahahaha ma dai!
Francesca mia dolce, già con te sono colpevole, avrei dovuto fare almeno una delle “ricette per te” questo we, ma la visita inaspettata me lo ha impedito, cercerò di recuperare al più presto, spero che ciò che posterò ti piacerà così tanto da compensare l’attesa.
Però io confidavo proprio nella tua romanità per fare una piccola ricerca su sto benedetto piatto… dici ch’è così difficile?
baci baci
Francesca quasi scordavo, ti sei mai chiesta come mai l’uso del pecorino nella carbonara non ha mai valicato i confini laziali? a quando risale? le tracce (poche!) che ho trovato parlano solo di parmigiano… come risolvere st’enigma?
Grazia io ripassavo in padella per lo stesso identico motivo, però ho scoperto dov’era l’errore. In genere si scalda la pancetta “prima” che lo spaghetto sia pronto, il che significa che quando si unisce alla pasta condita con l’uovo, la pancetta e il suo condimento sono tiepidi, se non addirittura freddi, perciò non sono in grado di assolvere al loro compito. Perciò adesso cerco di versare la pancetta nel contenitore con la pasta+uova, caldissimissimi, mescolando velocemente, l’effetto non da + il risultato dell’uovo crudo.
Mirietta macciao ciccia! non vedo l’ora di fare un giretto sulla tua tornado blu… annò, è rossa! Insomma ‘st’anno, anzichè essere tu a fare il regalo … lo hai ricevuto!!! A Natale stai qua o …?
Marco mannò dai, mica ci vuole poi così tanto per andare a spulciare gli strillatori e i vari artisti delle epoche andate … In realtà la letteratura e sopratutto la narrativa con sfondo enogastronomico è sempre stat una sorta di cenerentola nelle librerie, come se non importasse a nessuno… :(
Sul resto … bè cercherò di farti capire con un’immagine cosa mi fanno pensare i tuoi post, dal primo all’ultimo.
Immagina di vagare senza una meta precisa, solo per mera curiosità, tra le creuze di qualche località rivierasca, un po’ come il mio vagare tra il mondo dei blog ancora così affascinante e sconosciuto per me, ed immagina, durante questo vagare per le creuze un po’ buie, un po’ strette, di trovarti immediatamente di fronte al turchese acceso del cielo e del mare, fusi in un unico insieme di luce accecante… la sorpresa è tale da inchiodare, incapace di proseguire… poi si sa, la curiosità reclama l’altrove, impone di continuare il cammino, ma la tendenza rimane di tornare, almemo di tanto in tanto, a ricercare quello squarcio tra i meandri di vicoli, per farsi innondare da quella luce.
Ed è per questo che io non riesco a non leggerti, leggerti e rileggerti.
Urcatroia che sberla che mi hai dato … alla faccia del complimento: da oggi in poi avrò il terrore di scrivere, magari invece di un “turchese acceso” mi scappa un “azzurrino scarico” :(((
Bon io comunque ci provo :) tu dimmi come vado.
Marco
Maddai Marco mica è na sberla e manco un ceffone. Mai tuoi racconti sono un qualcosa di così prezioso ch’è difficile da spiegare, danno la sensazione di essere senza tempo. In genere quando si legge qualcosa, qualsiasi cosa, dalla relazione di lavoro o a mail varie, si va subito,prima della lettura, a scorrere la lunghezza, ovvero a calcolare mentalmente quanto tempo “ruberà” quella data lettura (a prescindere dall’importanza). Coi tuoi post non succede, spero anzi che durino a lungo, trascinandomi in posti o epoche lontane.
tu continua così, che vai daddio, del resto lo sanno tutti che il turchese marecielo non sbiadisce manco in lavatrice!
Non è che sia così tanto sicuro sull’uso del parmigiano nella carbonara.
Se quei rudi uomini erano carbonari (nel senso di facitori di carbone) delle montagne della Sabina e del reatino tutto, allora credo usassero il pecorino (stiamo parlando di più di un secolo fa, quasi due: mi duole dirti che il parmigiano ha valicato i confini della Padania agli inizi del Novecento/fine Ottocento, con la casa sabauda e i tanti nordici che si trasferirono in Roma capitale). D’altra parte il pecorino (non necessariamente romano, ma trattasi di caciotta di formaggio di pecora stagionata) era un formaggio reperibile in tutto il Lazio e Abruzzo con notevole facilità.
Altro busillis: il guanciale invece della pancetta, recente invenzione. La pancetta dei nostri nonni non era quella carne fresca a troppo magra che troviamo in vendita oggi, bensì sottoposta a lunga stagionatura (non c’erano i frigo e il maiale andava a male rapidamente se non mangiato o conservato a dovere). Quindi, se volessimo avvicinarci ai nostri avi dovremmo trovare il guanciale, ma quello vero, con il grasso rosato e che non sappia di stantio…
Carissimo Silvio02, innanzittutto ti ringrazio per aver raccolto l’appello, poi venedo nel pieno della questione, dandoti ragione sul parmigiano, non diffuso come adesso, e tenendo conto che potremmo prlae di montanari dell’etruria o abruzzesi, è verosimile che il formaggio di cui si tratta, sia una di quelle formaggette che non sono né pecorino né parmigiano. Sulla pancetta invece sono un po’ più perplessa, perchè i miei, di origine calabra, facevano la pancetta con la ricetta tradizionale ed io ricordo che stava appesa al soffitto tutta la stagione. Sarà mica che un tempo “la polpa” degli animali si prestava meglio per preparati da conservare? Sulle proporzioni grasso/magro non posso che darti ragione, ultimamente solo comprando il lardo a fette (anziché la pancetta) si riesce ad assicurare al brasato la giusta misura di grasso aggiunto.
A Ginevra la carbonara la fanno piena di panna e non uno o due cucchiai per amalgamare ma proprio con tanta panna.E’ un sacrilegio.
Bellissima foto, brava.
Cannelle mica solo a Ginevra, sai? è un’usanza barbara che si è diffusa sia nel centro che nel sud Italia. va a capire il perchè, poi. Rovinare una ricetta così perfetta di suo, bah
Ciao, sono capitata per caso nel tuo blog….cercavo l’origine della pasta alla carbonara e google mi ha portato qui…
Devo dire che ho scoperto con enorme piacere l’esistenza del tuo blog. Sei davvero brava. Ci sono un sacco di cosette interessanti. Mi sembrava giusto dirtelo….Grazie.
in verità la carbonara è un’invenzione recente.
E’ venuta con gli americani durante la seconda guerra mondiale e con la loro conseguente abbondanza di uova e “bacon”
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